La guerra è sempre stata uno degli scenari preferiti dagli sviluppatori di videogiochi.
Abbiamo quasi sempre assistito alla spettacolarizzazione di uno degli eventi più tragici dell’umanità, ma prima che qualcuno possa saltare a conclusioni affrettate no, questo editoriale non vuole certo denigrare i videogiochi o andare contro chi si diletta con giochi che narrano vicende belliche.
Quello che voglio fare è soltanto farvi anche riflettere sulla brutalità della guerra.
Insomma, divertitevi pure, ma un po’ di sensibilizzazione sull’argomento ci permetterebbe di diventare persone migliori e di avere più rispetto per chi, in un “ruolo” o nell’altro vive qualcosa di tragico come la guerra.

Quando pensiamo alla guerra pensiamo (giustamente) alla prima linea, al fronte, alla terra di nessuno, alle esplosioni ed ai soldati costretti a lottare per sopravvivere, ma dove possiamo trovare momenti di riflessione su un argomento così tragico all’interno del nostro hobby preferito, ovvero i videogiochi?
Negli ultimi anni sono usciti alcuni titoli che vanno oltre al far vedere la “semplice” lotta che avviene al fronte, e che hanno mostrato anche le difficoltà di chi è rimasto a casa, a lottare anche loro in modo analogo ai soldati per sopravvivere alla brutalità degli eventi che si susseguono.
Il primo esempio di cui vi voglio parlare è quello di “This War of Mine“, titolo realizzato dai ragazzi di “11 bit Studios” e che è ambientato durante l’assedio di Sarajevo (evento reale avvenuto durante la guerra in Bosnia ed Erzegovina avvenuto tra il 1992 ed il 1996).

Per chi non lo conoscesse, This War of Mine è un titolo dalla duplice forma, in quanto basa il suo gameplay tra una parte gestionale ed una più action, dove dovremmo gestire il nostro rifugio e nell’altra procacciarci le risorse per sopravvivere.
Come detto prima non sempre i combattenti sono quelli che stanno in prima linea.
In “This War of Mine” vi ritroverete ad impersonare un gruppo di civili, e sarete costretti a prendere decisioni alle volte davvero tragiche, come il dover scegliere se rubare o meno ad una coppia di anziani soli e indifesi, oppure se dover uccidere una persona che difende strenuamente le sue risorse, ma di cui anche voi avete assoluto bisogno.
È un gioco che vi consiglio caldamente di provare, perché metterà a dura prova la vostra morale, perché tirerà fuori dal vostro essere degli aspetti che mai avreste pensato di avere nel vostro animo, perché vi farà capire una volta di più che i videogiochi non sono soltanto un “semplice” passatempo, ma uno strumento di profonda riflessione anche su argomenti delicatissimi come la guerra.
Io sogno di dare alla luce un bambino che chieda: “Mamma, che cosa era la guerra?”
(Eve Merriam)
Tornando ai soldati, sono loro gli “attori” protagonisti delle vicende belliche, ed i primi che interpretiamo quando le loro gesta vengono narrate nei videogiochi.
Ma il prossimo gioco che voglio citarvi non appartiene ne a Call of Duty e neanche a Battlefield, ma ad un gioco il cui sviluppo è stato finanziato anche da alcuni degli stati che hanno partecipato alla Grande Guerra (tra cui l’Italia).

Ambientato durante la Grande Guerra, il gioco segue la storia di quattro personaggi: Emile, un padre francese costretto ad arruolarsi; Freddie, un afroamericano che si arruola volontario tra le forze francesi in cerca di vendetta; Anna, una giovane ragazza belga in cerca del padre che soccorre i soldati feriti; Karl, un giovane soldato tedesco al fronte che cerca disperatamente di tornare da sua moglie e suo figlio in Francia.
Tutti e quattro sono accompagnati da Walt, il cane di un ufficiale medico tedesco che dopo la morte del suo padrone si ritroverà insieme ai quattro protagonisti.
Tutti quanti affronteranno l’orrore della guerra, ma ognuno di loro avrà una “guerra interiore” che gli spingerà alla vera lotta che accomuna qualsiasi essere che si ritrova in guerra, ovvero quella per la sopravvivenza.
Dove sta quindi la riflessione? Ve lo dico subito…
Alcune persone alle volte vedono nei soldati impegnati in guerra degli esaltati, dei pazzi furiosi, degli assassini, e vi dirò, hanno ragione.
Hanno ragione perché la guerra tira fuori il peggio dell’uomo, e quindi chi ha l’animo oscuro alle volte cede al male cieco ed immotivato.
Ma oltre al peggio, la guerra è capace di tirare fuori anche il meglio dell’uomo, rendendolo umile, solidale, coraggioso e pronto al sacrificio nel nome delle persone a lui care.
Sono cose come queste che vedrete in Valiant Hearts.
Valiant Hearts infatti oltre alle sezioni di gameplay è uno di quei titoli che è pieno di schede narrative, che oltre a farvi giocare vi permetterà di imparare, ma soprattutto riflettere, grazie alle scene d’impatto proposte durante la sua storia.
Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola,
a mezzogiorno.
…
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per non sentire.
…
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte,
né per mare né per terra:
per esempio, la guerra
(Gianni Rodari)
Parlare di tutti i videogiochi che parlano di guerra è impossibile, così come è impossibile che la gente cambi idea da un momento all’altro su quella che Benedetto XV considerava “l’inutile strage”.
Un breve articolo come questo non potrà certo aver fatto riflettere tutti, ma a me non importa.
Se anche una sola persona leggendo queste poche righe potrà essere diventato più sensibile verso le atrocità della guerra, sarà stato come gettare un piccolo seme di speranza, affinché lo stesso messaggio possa arrivare a più persone possibili, perché la guerra non è soltanto un “pew pew pew” di proiettili da parte di un videogioco, è qualcosa di più profondo ed oscuro, che tramite un gioco possiamo si arrivare a conoscere, ma che bisogna temere, e soprattutto ostacolare.

Vi lascio giocare adesso, ma vi prego, ogni tanto fermatevi a riflettere.
Su ciò che è stato, su ciò che succede, su ciò che potrebbe succedere se mai dovessimo diventare insensibili.
Pace e amore a tutti voi, vi voglio bene <3

Sono da sempre appassionato di videogames. Ho iniziato a giocare su Amiga 2000 nel 1991 e da allora non ho più smesso. Mi è sempre piaciuto vedere come si evolve l’interazione tra utente e macchina, e questo mi porta ad amare qualsiasi sistema videoludico.